Esistono numerosi termini tecnici nell’ambito della grafica digitale: i più diffusi sono gli acronimi, proprio come DPI, e tutti hanno una triste caratteristica in comune, quella di essere usati a sproposito e senza averne la minima conoscenza. Per la serie “continuiamo con gli articoli noiosi e pedanti”, ecco qualche informazione utile in più sull’argomento.
Il pollice, questo sconosciuto
La prima leggenda da sfatare è relativa all’onnipresente pollice, lo inch che compare in tutti gli acronimi di cui parleremo. È opinione comune che si parli di “pollice quadrato”, ma la misura reale è il “pollice lineare”, ovvero una pura e semplice linea immaginaria di spessore indefinito ma lunga un pollice. E per chi non lo sapesse, un pollice è lungo 2,54 cm. Leggenda sfatata. E mettete giù il righello, non serve che vi misuriate le dita.
SPI
Partiamo da quello meno conosciuto (e dire meno è un eufemismo): SPI, ovvero samples per inch, campioni per pollice. È la misura della risoluzione degli scanner, a cui spesso ci si riferisce erroneamente chiamandola dpi, che, invece, è un termine relativo alla stampa. Come per qualsiasi altra misura in cui sono coinvolti i pollici, maggiore è il valore e migliore sarà la qualità della scansione.
LPI
Anche LPI (lines per inch, linee per pollice) è un acronimo poco conosciuto e ciò è dovuto anche al fatto che sta rapidamente diventando un termine desueto, essendo legato alla stampa tipografica tradizionale, in un mondo in via di dominazione dalla stampa digitale. Resta comunque in uso in ambito professionale, dove si usa la stampa coi retini mezzatinta, per quotidiani, riviste ed il resto della stampa che chiameremmo “industriale”. Qualcosa di simile al retino tipografico è l’immagine di riferimento per questo articolo (anche se estremamente semplificata ed a colore unico.
LPI compare anche nei software di scansione come valore di deretinatura, l’effetto che serve a ridurre o eliminare la trama puntinata, o retinata, che risulta dall’acquisizione di pagine di giornali o riviste stampate con procedimento tipografico. La stampa dei quotidiani è solitamente prossima agli 85 LPI, mentre quella di riviste o libri stampati su carta migliore può arrivare ai 300 LPI.
Una regola semplice per assicurare una buona resa in stampa è quella di lavorare al doppio della risoluzione disponibile. Esempio: su macchine capaci di stampare a 150 LPI mando in stampa materiale a 300 DPI.
La qualità tipografica non dipende solo dalla bontà della macchina che stampa, ma anche dagli inchiostri e dalla porosità della carta.
PPI
Questa sigla forse non è del tutto sconosciuta; è l’acronimo che indica la risoluzione del monitor, anche essa confusa sempre con il più diffuso DPI. Significa pixels per inch, cioè pixel per pollice.
I recenti display ad alta risoluzione, chiamati retina, sono dispositivi ad altissima densità di pixel per pollice, talmente densi da avvicinarsi alla qualità della stampa.
Ciascun display, in base alla misura e alla relativa risoluzione, può avere una densità specifica. Per calcolare la densità del proprio monitor, e quindi la risoluzione, basta fare un semplice calcolo. Ne ho parlato in uno scorso articolo, eccolo qui.
DPI
Ed ecco finalmente lui, uno degli acronimi più abusati di sempre, il dots per inch (punti per pollice), quello che tanta confusione crea quando si tratta di decidere le misure di stampa e contenere le dimensioni dei file.
DPI è l’unità di misura della stampa digitale, ovvero il numero di punti stampati in una linea di 1 pollice. Badate che si parla di stampa, quindi c’è un altro mito da sfatare: la risoluzione, il valore in DPI di un’immagine ha senso solo ed esclusivamente sulla carta (o sulla stoffa o qualsiasi altro supporto). Finché è una serie di bytes, finché esiste solo sulla memoria del computer o sullo schermo, una foto non ha nessuna relazione con i DPI, che sono la risoluzione di stampa e non “la risoluzione” e basta. Una volta stampata, l’immagine può essere misurata in centimetri, pollici, punti e si può parlare della risoluzione, ma finché materialmente non esiste è opportuno riferirsi ad essa solo con le misure in pixel. E le misure di stampa sono direttamente dipendenti dalle misure in pixel e dal valore in DPI che decidiamo noi.
Aumentare il valore in DPI senza aumentare i pixel comporterà stampe di dimensioni minori, strano, ma riflettendoci un attimo sarà banale. La densità dei punti di stampa può variare, quella dei pixel sul monitor no; i pixel non sono comprimibili. Un’immagine da 1000×1000 pixel a 72dpi avrà dimensioni di stampa di circa 35 cm quadrati. La stessa immagine, ma a 300 dpi, sarà circa 8,5 cm quadrati. Aumentando la risoluzione istruisco il software a stampare più densamente i punti, ma se il numero di pixel è fisso, l’unico modo per aumentare la risoluzione è quello di stampare i punti più vicini e quindi un’immagine più piccola. Vediamo qualche schermata da Photoshop che ci aiuti a capire.
Questo argomento è sicuramente ostico e non allettante. Tuttavia la comprensione di come funzionano i dpi può aiutare molto ad ottenere stampe migliori. Ricordatevi di seguirmi sulla pagina facebook (e magari piacizzarla), oppure commentare gli articoli, registrandovi in modo semplice sul sito. Con il modulo dei contatti potete, inoltre, contattarmi (ma và!?) e chiedere informazioni, articoli, ed istruzioni su argomenti specifici.